Il percorso
"Invitare qualcuno ad un viaggio è invitarlo a lasciare i propri luoghi comuni."
Franco Battiato [3]
Da Ulisse a Dante, da Parsifal a Siddharta, l'individuo che va incontro a se stesso, che si cerca, si vede in un viaggio. Per me, pendolare del treno, il viaggio ha un sapore meno epico: vado a lavorare e ritorno a casa. Già dal principio, però, non vivo le ore passate in treno come tempo perso, anche se, per fare quattro chiacchiere tra gli scompartimenti, a volte capita che mi lamenti. In realtà, quante riflessioni, quante intuizioni sorgono durante il viaggio! Quante letture mi accompagnano e quanti appunti scrivo, sobbalzando! È per questo che immagino di riportare un'esperienza di undici anni, tutto sommato di routine, con i soliti orari da rispettare all'andata e al ritorno, come un viaggio sempre nuovo. In effetti, è così. Ogni giorno si aggiunge ai precedenti e l'esperienza cambia.
Alcune difficoltà si presentano quando, oltre ad osservare con spirito critico i piccoli cambiamenti quotidiani negli altri, mi impegno ad essere autocritico per cercare se e quali cambiamenti avvengono in me. «In fondo facciamo così anche noi, facciamo fatica a essere critici e autocritici, cioè dialettici, perché anche se c'è in noi il desiderio di cambiare, questo è iin rapporto con il contrario, mantenere il nostro status quo, perché spesso cambiare fa paura, vuol dire distruggere forme di adattamento note e andare incontro ad altre sconosciute. » [4]
Cerco di mettere a fuoco questo dialogo con me stesso e trascorro undici anni rispecchiandomi nelle diversità degli altri. Per lungo tempo lo specchio sembra la realtà, o almeno l'unica realtà, fino a quando si scopre che la questione non è accettarsi o modificarsi [5], ma accettare di modificarsi in continuazione. Quello che è sacrosanto oggi, ieri non esisteva e domani sarà un dubbio. Allora capisco che accettarsi non è un atto che si conclude in un momento, ma è un processo senza fine, durante il quale ogni persona cerca la propria strada.
«Che si fa di solito per strada? Si sogna. Si sogna di cose più o meno precise, ci si lascia trascinare dalle ambizioni, dai rancori, dal passato. È uno dei luoghi più meditativi della nostra epoca, è il nostro santuario moderno, la Strada ». [6]
Con queste parole, Louis-Ferdinand Celine mi suggerisce di osservare questo avvenimento dalla strada. L’idea non è molto originale, ma suggestiva. Decisamente, la strada è un osservatorio privilegiato per un viaggio.
Curve, incroci e saliscendi, tutti compiamo una strada e da questa, che sia d'asfalto o ferrata, tutti guardiamo un panorama, quel gioco di specchi che riflette le singolarità di ogni paesaggio in un'immagine uguale per tutti. Se la ripercorriamo sovente, indizi e segnali ce la fanno riconoscere. Percorrere questa strada diventa automatico, "routine". Il termine francese significa, letteralmente, "piccola strada" e questa ci sembra sempre la stessa, a volte ci stanca, allora il tempo non passa mai! Solo attraversando il confine dell'esteriorità e pensando all'immagine come ad una porta da aprire, piuttosto che ad un ostacolo invalicabile, mi accorgo che la strada è la dimensione che l'individuo sceglie, che ciascuno vive in modo particolare, rispettando la propria unicità. Quando è percorsa con entusiasmo e non come abitudine, la strada appare più vasta, ci cattura e il tempo vola.
Si usa dire che la strada scorre, quando l’individuo pone dei punti fermi, le proprie caratteristiche, mentre tutto il resto, l’esterno, il paesaggio, passa.
In quest’ottica la strada è il senso che ogni passante dà al suo cammino, volente o nolente, consapevole o meno. C’è la Strada che percorre il mio Io, qui ed ora, e quella della mia anima, senza limiti di tempo e di spazio. Non è visibile da tutti allo stesso modo, perché non tutti siamo situati sullo stesso punto di vista, perché non sempre tutti guardiamo con gli occhi interiori, non sempre compiamo lo sforzo di vedere oltre la superficie.
Mi appoggio all'etimologia e alla mitologia, che attraversano la mia esperienza, per abbracciare il percorso svolto. Così il linguaggio e le immagini continuano ad accompagnarmi nella ricerca.
Quando dico di 'vedere' la strada, l'etimologia mi propone la radice WEID, dalla quale il greco woida, il tedesco wissen (conoscere) e il sanscrito veda che significa "ho visto, quindi so". Guardare è un momento passeggero, mentre vedere, vedere oltre, rimane nella nostra coscienza. Non è superfluo conoscere il linguaggio ed usarlo appropriatamente. Personalmente, trovo che sia stimolante.
Sono attratto dalla ricerca di nuove prospettive rispetto al lavoro socio educativo. Diversi punti di vista mi sono proposti dalle considerazioni esterne dei colleghi di altri centri diurni, oppure da visitatori e tirocinanti che si avvicendano per brevi periodi nel nostro servizio.
Mi soffermo su un pensiero di James Hillman: «Esterno significa semplicemente che lo stiamo guardando dal di fuori,[…]: accade questo e quest'altro ancora. Interiore significa che lo stiamo accogliendo, che è aperto all'intuizione ». [7]
Mi sento piccolo per contenere ciò che incontro all'inizio del viaggio, ma sto ancora confondendo il possedere con l’accogliere. In altre parole, cerco di “catturare” tutto ciò che incontro, invece di ricevere e ringraziare per le sensazioni che il viaggio mi offre. O forse, io faccio parte della sensazione e non è la sensazione che fa parte di me! Continuo a separare perché non riesco a trovare il senso di ciò che faccio.
Cogliere un senso,"sentire", arriva dalla radice NEGH che porta anche al sanscrito nahyati = congiunge. Il senso congiunge l'Io e l'altro, il materiale e lo spirituale, l'esterno e l'interiore in un processo continuo, evidenziando a volte l'uno, talora l'altro, ma sempre presenti.
Riesco io ad accogliere tante cose fatte, tante cose viste? Sono partecipante attivo della mia strada o solo un osservatore? Questi stimoli mi spingono a cercare, se non delle risposte, almeno degli argomenti che soddisfino la mia curiosità.
[3] F. Battiato, intervista in Palcoscenico, RAI 2, 7/12/2000
[4] M. Marcovic, Marx e il pensiero critico-scientifico, in Marx vivo, a cura di Mario Spinella, Mondadori, 1977
[5] P. Tranchina, "Il conflitto tra accettarsi o modificarsi è spesso un falso conflitto, in cui l'eccessivo rifiuto di se stessi è compensato da aspettative eccessive o idealizzate di modificazione". Norma e antinorma, Feltrinelli, 1979
[6] L. F. Celine, Il dottor Semmelweiss, Adelphi, 1975
[7] J. Hillman, op. cit.