L'espressione corporea
"Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto che si chiama Sé.
Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo.
Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua miglior saggezza."
Friedrich Nietzsche[33]
Già da tempo è alla moda parlare di espressione corporea, segnale che ha assunto svariate ramificazioni occidentali e orientali, scientifiche e artistiche. Con questa sintesi verbale, anche al centro diurno abbiamo denominato un momento educativo. Confesso che questo fatto mi infastidisce, come tutte le volte che mi sento omologato attraverso definizioni divenute di massa o che seguono la tendenza di un momento. La mia esperienza si è sviluppata partendo dalla fisioterapia, rieducazione motoria, seguendo un collega, terapista della riabilitazione. Personalmente vivo questo come un punto di partenza al quale si sono aggiunti elementi di psicomotricità, yoga, bioenergetica, euritmia e danza. Questi sono segnali con i quali si possono elaborare corsi o manuali tecnici, ma non è questa la mia intenzione, perché intendo chiarire il senso soggettivo del percorso svolto.
Per definire sinteticamente il vissuto di questa esperienza, dirò che l’espressione corporea è l’attività che più accomuna gli operatori e gli utenti. Sentimenti di attrazione e resistenze compaiono allo stesso modo in tutti i presenti nel centro diurno. Forse per questo è l’attività che più ci mette sullo stesso piano: pur mantenendo ognuno le proprie caratteristiche, siamo tutti in gioco. Spesso gli operatori, gestori delle situazioni educative, hanno più possibilità per razionalizzare, inventandosi scusanti per non farsi coinvolgere nell'attività, ma questo succede quando se ne è ancora fuori. Una volta “dentro” non esiste qualcuno più o meno abile: o ci sei o non ci sei! Il corpo è più sincero e più schietto di tutti i ragionamenti.[34]
Non esagero, quindi, affermando che l’espressione corporea è il fondamento di quel salto di qualità operato nel Centro Diurno.
È proprio il caso di dire che la partecipazione a questa attività ha “dato corpo al gruppo”, affidando a questo modo di dire tutta la carica rivelatrice che contiene. Tuttavia il termine “espressione corporea” non rende conto pienamente di ciò che in realtà avviene; infatti la fase dell’”impressione”, il calarci in noi stessi, conoscerci, toccarci, precede o quantomeno pone le basi per il momento espressivo. Ciononostante non si parla mai di impressione corporea, terminologia che mi piace, perché dà la sensazione di qualcosa che rimane. Generalmente si usa piuttosto il termine “contatto”. Ci tengo a fare questa sottolineatura perché l’impressione delle sensazioni ricevute se da una parte determina i nostri atteggiamenti, dall'altra è molto spesso considerata un tabù nella nostra società, che si mostra disinvolta e disinibita nell'immagine, nell'aspetto superficiale, ma che cerca di evitare ciò che porta in profondità dell’essere umano: gli aspetti più duraturi, “impressionati” nel nostro sé.
Contatto
Entrando in palestra ed incontrandoci per questa attività, siamo vicini più che negli altri momenti. Non ci sono tavoli, attrezzature o quant'altro, a separare i partecipanti. Questo è anche la fonte di diffidenze e timori. “Sentiamo” un qualcosa di diverso. L’energia di ognuno di noi si amalgama e si arricchisce con sentimenti, paure, entusiasmo. Lo spirito del gruppo e la vicinanza dell’altro ci sostengono solo per il fatto che siamo presenti,[35] che siamo assieme.
Percepire la com-unione dei corpi e delle motivazioni ci guida verso il senso; è già il senso di ciò che facciamo in palestra. In altre parole, “sentire” il proprio corpo dà valore a noi stessi. Dalla radice etimologica di senso, NEGH, discendono termini che indicano l’unione, il vincolo, l’unità di corpo e mente.
Solo dopo aver dato senso a me stesso, alle parti del mio corpo, posso sperare di sentire gli altri, di provare sentimenti. Perciò comincio con l’essere in contatto con me, per capire chi sono e dove sono.[36] Se la "presenza", l’attenzione a ciò che si fa è molto importante in qualsiasi attività umana, dove non esiste altro mediatore che il proprio corpo, l’inter-esse, il contatto, è indispensabile. Non è un caso che gli “strumenti” fisiologici per entrare in relazione con il mondo siano chiamati sensi.
Usiamo il nostro corpo per un continuo contatto con noi stessi, con l’altro e con l’ambiente circostante. Come dice Alexander Lowen «Avere i piedi per terra è un modo per dire che una persona sa dov'è e perciò sa chi è. Quando una persona ha la "sua posizione" è qualcuno.»[37]
È in relazione alla propria posizione che ognuno diventa importante: con il tempo diventa il personaggio di un dramma, un vissuto. Il termine dramma deriva dal greco drao che significa io faccio. In scena, io faccio, coincide con io sono questo personaggio; quel che viene espresso, rielaborato e rappresentato è una parte della mia vita. Al centro diurno, seguendo questa logica, l’attività stessa cambia nome: da espressione corporea diventa drammatizzazione.
Movimento
Il linguaggio corrente ci aiuta: si dice “freddo distacco”. Ora che siamo entrati in contatto, invece, proviamo sensazioni di calore. La giustificazione fisiologica si trova nella maggior irrorazione dei vasi sanguigni. Fatto sta che una maggior attenzione a noi stessi fa sì che le
sensazioni “ci dilatino”, letteralmente non stiamo più nella pelle! Abbiamo bisogno di muoverci, di apprezzare le possibilità vitali di noi stessi. L’esplorazione avviene attraverso i sensi, i movimenti. Percepiamo armonie e squilibri che ci rendono partecipi del mondo.
L’etimologia mi suggerisce che la parola equilibrio significa “proporzionata distribuzione delle parti di un tutto”. Io aggiungo di un unico corpo e questa proporzione mi consente di assumere una posizione. Mi incuriosisce come la radice etimologica EKWYO porti prima all'umbro e poi al latino aequus, che significa comune. Cioè non c’è equilibrio se la “comunità” delle parti che costituiscono l’individuo non sono eque, in armonia. La consapevolezza di essere tutt'uno con l’esterno è l’equilibrio. Non provare capogiri, paure di cadere, è equilibrio: dove potrei cadere se io stesso sono parte del suolo che mi sostiene? Ora divago con i ragionamenti, ma tutto ciò avviene in maniera del tutto naturale quando mi muovo, quando dopo aver assaporato il ‘dentro’ di me cerco di espandermi nell'incontro con il ‘fuori’, l’esterno, lo spazio.
La sperimentazione teatrale che descrivo è basata su esperienze di movimento. Le possibilità espressive del corpo sono stimolate: coltiviamo così la gestualità e la mimica e ci rendiamo consapevoli che ogni muscolo, grande o piccolo, è in grado di esprimere stati d’animo, di comunicare. La sperimentazione corporea ha lo scopo di dar fiducia ad ogni individuo affinché possa per prima cosa credere in se stesso e poi sentirsi ascoltato e guardato quando si esprime.
Spazio
Anche l’etimo del termine spazio mi ha incuriosito: deriva da spathē, spada in greco. Letteralmente pathē più s privativo significa “senza sentimento”. Figurativamente posso immaginare come con la spada io delimiti, ritagli lo spazio fisico dove mi trovo, dove provo sentimento. In realtà, muovendomi e rimanendo in contatto con il mio corpo, non corro il rischio di lasciare da un’altra parte i miei sentimenti. «Non puoi perdere te stesso. Dopo tutto sei sempre dove sei.» [38]
Con queste semplici parole la saggezza pellerossa mi dice che muovendomi posso incontrare qualche altra persona, oggetti vari, pareti, ma io sarò sempre lì. È l’attenzione che pongo ai luoghi della palestra e del palcoscenico che rende lo spazio importante, prezioso, speciale. Ed è il valore che gli conferisco che fa di un luogo “banale” uno spazio scenico, nel quale un movimento, una serie di movimenti, esprime una qualità drammatica. La ricostruzione scenica parte dai luoghi della quotidianità: spazi fisici e soprattutto i vissuti emotivi che essi ci trasmettono.
Rientra in questa considerazione dello spazio anche l’impegno rivolto all'ideazione coreografica e alla costruzione scenografica. Pur tenendo presente che l’individuo è sempre il fondamentale elemento di scena, la ricerca del senso porta alla definizione di caratteristiche scenografiche ben precise. Queste non sono, dunque, un accessorio del teatro, ma sono parte integrante di questo.
Respiro
Siamo tutti creatori.
Respiriamo.
Espiriamo
e creiamo suoni comprensibili al mondo.
Capiamo che non siamo una sola voce, ma tante:
Tutti i colori, tutti i suoni,
Tutti i timori, tutti gli amori.
Joy Harjo [39]
«Il respiro è energia, esattamente come le nostre emozioni».[40] Entro in contatto con le emozioni e con le funzioni corporee. La respirazione è la prima funzione che consente all'individuo di essere tale: al momento della nascita è la prima azione del tutto indipendente dalla madre. Nelle più diverse cosmogonie il respiro è l’elemento che dà la vita, come nella Bibbia «… il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.»[41], così anche il prana degli induisti, il soffio, il principio vitale distingue l’animato dall'inanimato. Il respiro c’è ed è un rapporto incessante di scambio: dare e ricevere aria è la matrice di tutti i rapporti di amore e di collaborazione col mondo esterno.
La respirazione è una funzione del tutto naturale. Al momento della nascita il miglior modo per agevolare la respirazione è un bel pianto. Questo gesto accompagnerà durante tutta la vita le nostre emozioni più intense. Il respiro è naturale come la circolazione del sangue; se mi soffermo su questo è perché, come ci suggerisce Lowen [42], porre attenzione a questa funzione aiuta ad individuare le tensioni presenti nel nostro corpo.
Di conseguenza riconosco alcune mie caratteristiche e gli atteggiamenti che in qualche modo sono provocati da tali tensioni. Perciò, essere è funzione del respirare. Come vivo il “qui ed ora” è sempre collegato al modo di respirare.[43]
Una risata o uno sbadiglio sono variazioni della respirazione che indicano il nostro stato d’animo, ed incuriosisce stare ad osservare, ad osservarci, quando respiriamo.
Mentre pongo attenzione all'atto della respirazione mi accorgo della sensazione di allargamento del torace, della naturalezza e della calma che essa ci trasmette.
Concentrandomi sull'espirazione, percepisco come sia sottile il filo che separa e unisce il silenzio da un suono che io produco: la mia voce.
La sperimentazione teatrale affrontata al centro diurno si occupa in misura minima della recitazione, intesa come declamazione di versi. Ciò nonostante il gioco con la voce, la modulazione di questa, è fonte di interesse. La propria voce è un modo di presentarsi. Nel teatro greco la maschera è comparsa, appunto, come strumento per amplificare la voce. Per questo, la ricerca sulla voce è cura di se stessi nel momento in cui ci proponiamo al mondo esterno.
Quali tensioni muscolari ostacolano un richiamo più che un grido? Quali emozioni modificano l’intonazione di un verso o di un canto? Inoltre misuro lo spazio: “parla più forte, non ti sento!”, oppure “sono qui, non occorre urlare!” sono modi per dare la misura della distanza attraverso la voce, come anche con i rumori ed i suoni.
[33] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1976
[34] M. Dorris, “ Con la mente resti fuori a guardare. Con il corpo ci sei già dentro.” Vede oltre gli alberi, Ed. Piemme
[35] N. Mandela, “Nel momento in cui siamo liberi dalla paura, la nostra stessa presenza libera gli altri.” Cit. in P. Bertoldi, Meditazione, Ed. Demetra, 1999
[36] E. Decroux, “Prima di essere questo o quello, bisogna essere.” Parole sul mimo, Edizioni del corpo, 1983
[37] A. Lowen, Espansione e integrazione del corpo in Bioenergetica, Astrolabio, 1979
[38] M. Dorris, Vede oltre gli alberi, Ed. Piemme
[39] J. Hario, Il delta del suono
[40] P. Bertoldi, Meditazione, Ed. Demetra, 1999
[41] La Bibbia di Gerusalemme, Genesi, 2.6 Centro Ed. Dehoniano
[42] A. Lowen, op. cit.
[43] Osho, “Se riesci ad intervenire sul respiro, improvvisamente ti ritroverai nel presente…” cit. in P. Bertoldi, op. cit.