La ceramica
Quando l’acqua è stata mescolata alla terra (…) occorre che il sole agisca su questa argilla e la trasformi in pietra.
Marcelin Berthelot [23]
Che cosa mi suggerisce un primo approccio con la lavorazione della ceramica? Come la tessitura, questa pratica artigianale è altrettanto diffusa nei servizi educativi e riabilitativi. Probabilmente la manipolazione dà all'individuo l'occasione di stimolare la sensorialità tattile, che generalmente è trascurata. Nella nostra società il progresso del sistema educativo sembra legato ad altri sensi, la vista e l’udito; ma ancor più delle sensazioni quest’impostazione sociale fa emergere il pensiero, la razionalità a tal punto da inventare apposite categorie come "insufficienza mentale", che hanno senso solo se riferite ad uno standard di sufficienza. Da tutto questo consegue un curioso ragionamento (per l’appunto!): chi ragiona in un modo anormale, per non dire insufficiente, chi basa la propria conoscenza del mondo e il proprio essere sull'intuito o sulle sensazioni, più che sulla logica corrente, è opportuno che venga avviato all'educazione delle sensazioni. Il ragionamento non fa una piega, se non fosse che il più delle volte le sensazioni vengono viste come una dimensione secondaria, un ripiego. Tant'è che non si sottolinea mai la fortuna di chi affronta il percorso affascinante offerto dalla ceramica, l'arte dei quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco.
Al centro diurno non si sviluppano certo argomenti esoterici, ma entrando nel laboratorio di ceramica sono pervaso dallo spirito che può essere degli alchimisti: da una parte la terra rossa, dall'altra la terra bianca, in un angolo la terra grigia. Sugli scaffali barattoli di smalti, ossidi, ingobbi; strani attrezzi incurvati, strane lunghe pinze per togliere i pezzi dal forno. Anche solo quando si riordina il laboratorio, si presta un’attenzione ai diversi elementi fondamentali.
Ho avuto un’improvvisa coscienza del valore della terra, un insight, mentre preparavo il terriccio per le mie piante d’appartamento. Ho avvertito una sensazione particolare, tale a quella provata nel manipolare l’argilla. Sensazione mai provata nella lavorazione, ad esempio, di materiali sintetici oppure della pasta-sale. L’esperienza sentita riporta più che all’atto della manipolazione al materiale usato. Allora cerco una guida etimologica per la parola terra: è un vocabolo che nel latino antico significa secco, analogo a polvere, un concetto opposto all'acqua. Continuando a cercare terra, in latino trovo humus, la terra bagnata. È un termine che deriva dalla radice GHYOM, antichissima e diffusissima, che ci conduce anche ad umido e umile, termini che in ogni caso significano "aderente alla terra". L’immaginario collettivo individua quest'umiltà nel contadino che rispetta la natura ed è in contatto intimo con la terra. In realtà al giorno d'oggi quest’immagine resiste solo a livello simbolico.
L’umido della terra ha qualcosa di "antico”. Lasciando fluire i pensieri, ricordo anche momenti di quando costruivo castelli di sabbia in riva al mare. Qui la fiaba del bambino che diventa architetto, si unisce alla fiaba di suo padre, che ritorna bambino.
Analogamente, il ceramista sviluppa la sua fiaba in un laboratorio di ceramica, dove alla creta, (etimologicamente terra setacciata, polvere) aggiunge acqua.
In questo primo passaggio molto antico, troviamo l’archetipo dell’origine della vita. Così all'inizio del libro della Genesi «…[Il Signore Dio] faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo; allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo. »[24] : per creare l’uomo, Dio unisce acqua alla polvere.
Un passaggio ancor più significativo si avverte in ciò che racconta Esiodo: «…Così disse [Zeus] e rise il padre di uomini e dei a Efesto: ordinò che, veloce, intridesse terra con acqua e, somigliante alle dee immortali nell'aspetto, formasse bella e amabile, figura di vergine»[25]. La mitologia greca aggiunge questo particolare: con terra e acqua viene creata Pandora, la prima donna. L’uomo, in questo caso proprio Efesto, artigiano zoppo di Zeus, in questo modo recupera la sua parte femminile, più emozionale. Questo è molto rilevante anche in relazione alla mitologia indiana del nord America, la quale tramanda che i cavalli furono creati mescolando terra e acqua da un ragazzo che noi definiremmo handicappato. Mentre i suoi coetanei, abili, erano impegnati nella caccia, egli, non potendo partecipare, passava il tempo impastando terra e acqua.
La manipolazione dell’argilla, evidentemente, è collegata al percorso che l’uomo compie per riappropriarsi della sua parte istintuale.
I primi vasi, le prime ciotole di terra essiccata servono per contenere l’acqua, elemento femminile per eccellenza. L’acqua che lava, disseta e purifica; l’acqua invadente che penetra da ogni fessura, senza curarsi dei limiti.
Impastando l’argilla si crea un momento di scambio con la terra: cedo calore ad un impasto che a volte al tatto appare gelido. La terra riceve la mia energia, anche quella eccessiva: le mie tensioni. In questo modo, stanco, ma non stressato, sono pervaso da una vitalità creativa, propria della terra.
Parlo in prima persona. Osservo, però, nell’espressione di chi modella l’argilla, un analogo abbandono e contemporaneamente attenzione. Mentre è facile prevedere che chi appare teso, nervoso oppure distratto, non avrà risultati costruttivi.
Mi accorgo che nel dosare la pressione delle dita sulla materia non è sufficiente, ma a volte, nemmeno necessario un ragionamento che parta dalla testa. Sembra, invece, che la massa d’argilla sia legata con un filo che attraverso le dita e le mani arriva fino alla pancia. Perciò sembra ovvio che sorgano forme “panciute” : i vasi.
Alla domanda che cosa fa un ceramista si può rispondere che, manipolando l'argilla, egli crea una forma nuova. Con una sorta di potere divino e con una memoria archetipica , plasma la materia a sua immagine. Osservando chi lavora l'argilla, può essere un disabile, un collega o me stesso, vedo chiaramente che la "creatura" è un'immagine di sé. La propria anima passa attraverso le proprie mani. Manipolare è il bisogno di rispecchiarsi fuori di sé. Così nella creazione di nuove forme, è evidente come la ceramica sia un fatto tutt'altro che naturale, bensì culturale.[26]
Se nella tessitura l'ordito ci propone una regola, un limite, una struttura sulla quale crescere, nella ceramica troviamo l'espansione quasi il prolungamento di una paternità o maternità, che si concretizza nelle forme concave o convesse che escono dalle nostre mani.
È frequente la resistenza al toccare, espressa spesso con la paura di sporcarsi. D’altro canto la fase dell’impastare è molto importante perché determina la consistenza sulla quale si andrà a modellare. Il timore, a volte il terrore, del contatto indica la contrapposizione desiderio/avversione nei confronti del “creare”. L’apprendimento del dosaggio di terra e acqua è estremamente educativo e possiamo osservare come un adeguato contatto con questi elementi proponga di pari passo un equilibrio nelle relazioni umane.
Nella lavorazione della ceramica incontro un aspetto molto affascinante: la tornitura. È indispensabile centrare la palla d’argilla sul piatto del tornio e fermarla tra le proprie mani: bisogna con-centrarsi! Quest’idea è talmente antica che la parola tornio etimologicamente è la madre di tutti i termini come tornare, ritornare, turn (in tedesco, francese= girare; in inglese= girare, trasformare), cioè rifare esattamente con precisione. La concentrazione che richiede la lavorazione al tornio è un elemento che mi ha messo parecchio in crisi. Non sono riuscito per anni a dosare acqua e argilla, pressione delle mani sul pezzo in lavorazione e del piede sul pedale che aziona il movimento circolare del tornio. Ma soprattutto non riuscivo a “centrare” l’attenzione sull’azione delle mie mani che, nello stesso tempo, modellano l’esterno e l’interno del pezzo.
Trovo una regola: acqua e terra devono essere dosate. Nella pratica del ceramista principiante, così molto spesso al centro diurno, si nota l’attrazione dell’acqua e quindi l’uso abbondante di questa, sia al tornio che con altre tecniche. In questo modo la forma non rimane in piedi, si de-forma. C’è squilibrio in queste persone, i classici pasticcioni con la testa fra le nuvole. Sono assolutamente poco attenti e poco coscienti della realtà che li circonda.
Ugualmente squilibrati, ma dal lato opposto, coloro che tendono a usare pochissima acqua; il minimo indispensabile (a volte anche meno!). Queste persone sono tutte di un pezzo, pignole e ovviamente manipolano con difficoltà; preferiscono scolpire o scalfire i manufatti. Sono persone “scalfenti” anche nelle relazioni interpersonali, qualora ne abbiano, perché sono introversi.
Quando la nuova forma, la "creazione", entra in contatto con l'aria, il terzo elemento che incontra, raggiunge lo stato secco, stabile, ma non definitivo. È sufficiente, infatti, che entri in contatto con l'acqua, o qualche leggero urto per modificare il suo aspetto. Spesso accadrà che ci accorgeremo di una scarsa attenzione nella prima fase dell’impasto, solo durante l’essiccazione o nella successiva cottura, quando il pezzo si creperà.
La fase dell’essiccazione è un momento di attesa, di non fare, altrettanto importante. Senza fretta la terra modellata sta per diventare pietra. Per l’alchimista costruire una pietra era una funzione religiosa; in un laboratorio che mantiene l’apparenza e lo spirito magici, questo momento non dev’essere trascurato. È con la cottura, il contatto con l'elemento fuoco, che la forma creata diventa d'ora in poi immutabile. L’argilla cambia colore; con alcune tecniche come il raku, gli smalti assumono particolare lucentezza. Per chi lavora in un laboratorio di ceramica, l’assistere a queste trasformazioni lascia un segno.
A sua volta il ceramista vuole lasciare un segno: il segno, tratto distintivo, la firma che ognuno di noi aggiunge. Dall'anima esce la forma, ma l'Io di ognuno sente il bisogno di un segno, una firma. L'etimologia ci dice che DEHR è la radice del sanscrito dharma, "ciò che è a posto", del latino firmus = stabile, da cui le voci italiane fermo, firma e conferma.
Graffiti, prove e osservazioni di opere d’arte, hanno lo scopo di portare la persona a con-fermare ciò che ha fatto, identificandosi con il prodotto artigianale.
[23] M. Berthelot, La chimie au moyen age, 1893 cit. in C. G. Jung, L’albero filosofico, Opere, vol. 13, Boringhieri 1988
[24] La Bibbia di Gerusalemme, Genesi, 2.6 Centro Ed. Dehoniano
[25] Esiodo, Opere e giorni, trad. it. G. Arrighetti, Garzanti ed., 1985
[26] D. De montmollin,“Il ceramista prende coscienza che le pietre di sua invenzione non si elaborano in condizioni naturali, ma in un laboratorio che bisogna creare. E può ben dirsi che la ceramica è tutto il contrario di un romantico “ritorno alla terra”” La Poeme Ceramique, Editions La Revue de la Ceramique e du Verre, 1991