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"Vi è una parte della storia che rientra nei modelli (…) ed un’altra parte che non vi rientra.

Ora, è proprio l’ultima che mi interessa perché è quella che “fa” la storia.

L’altra parte la ripete e ciò che si ripete non è storia." 

 

Olivier Revault d’Allones [49]

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Quando ho iniziato l’avventura al centro diurno ho trovato uno scenario confuso, ma statico. In una tale immobilità non si potevano distinguere movimenti e situazioni evolutive. Si potevano, però, immaginare molte potenzialità. In queste situazioni affidandosi a schemi replicati, si rischia di mantenere la situazione tale e quale. Viceversa, per portare aria nuova, ho pensato di tuffarmi nel disordine.[50] In quest’ottica il caos non è una difficoltà, lo è invece la staticità. Non era il caso di “sistemare le cose”, quanto di “agitarle”.

Allora un collega, scettico, mi ammoniva dicendomi che con le mie idee avrei avuto bisogno di “tanta fantasia” per continuare lì dentro. Lui è stato trasferito dopo pochi mesi e ora come ora io posso dire di averla avuta e di averla condivisa con i colleghi che hanno deciso di continuare su questa linea.

Per terminare il viaggio che ho compiuto attraverso l’esperienza del centro diurno, ho in mente un’immagine: le frange. Una volta terminato un tessuto, la trama che attraversa l’ordito lascia risaltare le frange. Il viaggio che ho rivissuto mette in evidenza un ordine che, seppur poco visibile, è sempre stato presente.

Ora diventa chiaro quando l’esperienza è finita: mi è stato chiesto un progetto che delineasse ciò che abbiamo fatto, ma la richiesta è stata formulata male: in realtà, ciò che si voleva era un modello, una scatola che inquadrasse l’esperienza umana.

Ingenuamente io mi sono dato da fare e così ho chiuso, concluso, l’esperienza.

Dell’energia positiva che, ben disposta, ha sorretto il lavoro di anni, sono rimaste le frange: malinconia, tristezza, paura, rabbia, l’aspetto negativo della tensione. Come da un ordito tagliato rimangono le frange, allo stesso modo la fine di questo progetto di ricerca del centro diurno lascia vedere solo una funzione decorativa.

Si poteva tentare di ripetere la stessa avventura, ma sarebbe stata un falso, ricalcato su un modello preesistente. La realtà è già stata vissuta.

Sono entrato nel mondo della disabilità con due facce: quella dell’ignoranza e quella del rifiuto, in quanto anch'io sono un disabile, ma non ho mai accettato la mia diversità, tanto meno l’ho valorizzata. Il valore omeopatico della mia presenza al centro diurno per me è stato determinante e che lo sia stato anche per gli ospiti del centro è più che una sensazione momentanea.

Da questa storia ne esco ammorbidito con me stesso e nelle relazioni con gli altri. Ne esco bene, carico del desiderio di fare nuove esperienze, anche se non sono stato immediatamente consapevole del fatto che la prosecuzione fosse impensabile.

La prima “prova” è questo scritto che mi ha impegnato contemporaneamente in un’analisi e in una sintesi dei ragionamenti e delle emozioni di undici anni.

Ho avuto momenti di difficoltà quando ho cercato un modo per chiarire agli altri, ma soprattutto a me stesso, le motivazioni che mi hanno alimentato. In questi momenti mi sono lasciato andare all'immaginazione. «L’immaginazione  è la più scientifica delle facoltà, poiché essa sola riesce a percepire l’analogia universale (…).»[51]

La percezione di aver fatto niente di più di quel che sono mi ha aiutato più di tanti ragionamenti e spiegazioni cavillose.

Per questo mi ripropongo non tanto di inventare nuove strade, ma di continuare a viaggiare e di percepire l’esistente.

«Mille sentieri vi sono ancora non percorsi; mille salvezze e isole nascoste della vita.

Inesaurito e non scoperto è ancor sempre l’uomo e la terra dell’uomo.» [52]

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[49]  O. Revault d’Allones, Destrutturazioni, Faenza Ed. 1976

[50]  J. Attalì, «Pensare l’ordine che verrà a partire dalla designazione del rumore fondamentale dovrebbe essere il lavoro fondamentale dei ricercatori di oggi. Dei soli ricercatori che valgano: gli indisciplinati. Quelli che rifiutano di cercare con strumenti dati in anticipo le risposte a nuovi interrogativi.»  Rumori, Mazzotta Ed., 1978

[51] C. Baudelaire. Salon del 1859, in Id., Scritti sull’arte, tr. it. di G. Guglielmi e E. Raimondi, Einaudi, Torino, 1992

[52]  F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1976

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